ISTRUZIONI PER L'USO

IL TALLONE D'ACHILLE è pensato per scrivere libri, direttamente su questo blog. Qui comincia l'Eredità di Michele, l'ultimo scritto. Il precedente è stato interrotto, si vede che doveva maturare. Qui trovate IL primo LIBRO, col suo indice ed i post che lo compongono.
I "libri" raccolgono commenti, critiche e suggerimenti di chiunque voglia partecipare con spirito costruttivo. Continuano un percorso iniziato con le Note scritte su Facebook , i cui contenuti sono ora maturati ed elaborati in una visione d'insieme, arricchiti da molti anni di esperienze diverse e confronti con persone diverse.

I Post seguono quindi un percorso logico che è bene conoscere, se si vuole ripercorrere il "discorso" complessivo. Naturalmente è possibile leggere singoli argomenti ai quali si è interessati. Argomenti spot - che spesso possono nascere dall'esigenza di commentare una notizia - saranno trattati in pagine dedicate.

Buona partecipazione!


giovedì 24 gennaio 2013

CAP. I - Par. 1a - La Minaccia del Fallimento




Torniamo a studiare i comportamenti e le logiche dei mercati. 

Facciamolo con attenzione, sforzandoci di capire bene, perché è ai mercati finanziari che sono state consegnate - di fatto - le leve di governo dell'economia. 

La scelta è stata giustificata sulla base della loro supposta (non dimostrata) efficienza. L'aggettivo (supposta) è cacofonico.. ma rende bene l'idea, pensando a dove possa finire ad operare la famosa "mano invisibile". Grande mito del liberismo vecchio e nuovo, questa mano invisibile dei mercati che dovrebbe miracolosamente assicurare la miglior soddisfazione dei nostri interessi collettivi proprio lasciando liberi i soggetti economici privati di occuparsi esclusivamente del loro tornaconto personale. Questa è l'essenza del liberismo. Le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi.. e non solo.

Innanzi tutto è doveroso avvertire: la minaccia di fallimento, il Deafault (quella che è stata usata per farci accettare le medicine sbagliate del governo Monti), è una minaccia reale

I nostri politici hanno lasciato accumulare il possesso dei titoli del debito pubblico italiano nelle mani degli speculatori esteri (investitori istituzionali di vario genere). Da tempo, utilizzando il mito della bellezza e dell'utilità di "attirare capitali esteri", i nostri politici hanno scelto di modificare le sane abitudini di una volta (quando BOT e BTP erano quasi tutti in tasca agli Italiani) e di iniziare a finanziarie l'azienda di famiglia non già con le immense risorse familiari, ma ricorrendo a sconosciuti prestatori esteri. 

La cosa è iniziata con una certa intensità più o meno quando Draghi era al Ministero del Tesoro. Ed è continuata tranquillamente: ricordiamo tutti come Monti, appena divenuto primo ministro, si è fatto un bel giro per i mercati finanziari (New York, Londra, il lontano Oriente) a sollecitare investimenti esteri. 

Per valutare meglio, torniamo ad osservare le posizioni dei soggetti coinvolti.

Un investitore istituzionale estero investe su titoli italiani esclusivamente per guadagnare un tasso d'interesse.. interessante. Cercando di correre il rischio più basso possibile, a parità di guadagno. Chiaro, no?  Se, dopo averlo fatto, inizia a dubitare della capacità del paese di trovare risorse finanziarie sufficienti a rimborsare i titoli del debito pubblico in scadenza, cosa fa ? Vende. Prima della scadenza, per non restare col cerino in mano. Se è uno grande a vendere, e vende tanti titoli, sale lo spread. Se sale lo spread la paura e i dubbi di tutti gli altri aumentano. E tutti vendono. E lo spread sale ancora di più. Così, quello che era un pericolo, diventa una realtà. Anche se chi ha iniziato a vendere lo ha fatto per motivi tecnici e transitori che non c'entrano niente col giudizio sul paese. 

Chissà come è andata a finire l'indagine della Consob su Deutsche Bank, che poco prima del giugno del 2011 ha venduto 7 miliardi di BTP. 

Cosa vi dice questo grafico della Fig. 3 sull'andamento dello spread, che inizia a salire vorticosamente a partire proprio in quel periodo?


Fig. 3






Non è forse interessante osservare - per ricordare meglio - l'andamento storico durante tutta la vita dell'Euro, mostrato nella Fig. 4 ?





Bisogna averla proprio sotto gli occhi la capacità dei mercati finanziari di esprimere giudizi corretti e tempestivi sui rischi che corrono. E la rapidità con la quale questi giudizi cambiano.

Per dieci lunghi anni investire in Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia, Francia o Germania, comporta più o meno lo stesso giudizio. Poi arriva la crisi del 2009, quella causata dalle follie dei mutui sub prime (altra delizia di scienza dei mercati finanziari), e si accorgono all'improvviso che il giudizio era sostanzialmente sbagliato. E vendono, e svendono. Prima con calma, poi all'impazzata. 

Guardare bene, e meditare, serve ad esprimere un giudizio non solo e non tanto sulla "efficienza della mano invisibile". Quello viene istintivo. Bisogna invece riflettere molto a lungo ed accuratamente, soprattutto, sulla deficienza dei politici che in quelle mani hanno consegnato i nostri destini; la nostra sovranità;  la responsabilità delle leve di governo dell'economia, della cui manovra, evidentemente, non si sentono più all'altezza.



Il rinnovo dei titoli di stato in scadenza è una operazione di alcuni miliardi di euro che si ripete più volte al mese dal tempo dei tempi provocando a volte tensioni percepite solo dagli addetti ai lavori. Ognuno di quegli appuntamenti contiene il germe della tragedia: se mancano compratori, i nuovi titoli non vengono piazzati e lo Stato - che deve rimborsare quelli in scadenza - non avrebbe materialmente in cassa i soldi per pagare i creditori, andando tecnicamente in "Default". Attenzione: nell'immediato, non avrebbe neppure i soldi necessari a pagare gli stipendi agli statali, le pensioni ai fortunati che la prendono, per mandare avanti gli ospedali, le macchine della polizia, i servizi sociali, e così via. Il rischio esiste e non deve essere ignorato.

Magari va capito meglio, questo si. Cominciando col dire che di default ce ne sono stati proprio tanti, nella storia. Anche recente, come mostra questo articolo di Giuseppe Sandro Mela. Va capito nelle conseguenze che comporta, come molto sinteticamente indica questo brevissimo video del professor Emiliano Brancaccio. Capito nelle azioni che possono essere usate per gestirlo, ripartendo i sacrifici fra chi può sopportarli e chi no. Ma questo, si sa, comporta una responsabilità politica che i nostri preferiscono non avere. Per questo si nascondono dietro i mercati. Per questo ci chiedono di cedere la nostra sovranità. Per lasciar operare indisturbata la magnifica e leggiadra mano.

Cominciamo dal mettere meglio a fuoco la posizione degli investitori istituzionali, in caso di default. Che non tutti ne sono consapevoli. Oggi come oggi (anzi, oggi potrebbe essere un po' diverso e ne parleremo, ma sicuramente era così a fine 2011, quando sono arrivati i professori a salvarci), gli investitori istituzionali rischiano di non vedere il becco di un quattrino o, comunque, di vedersi rimborsata solo una parte del capitale investito. Non esiste un giudice sopra nazionale che può chiamare in giudizio lo stato in default, pignorare i suoi beni (il patrimonio pubblico; né tanto meno quello privato dei suoi cittadini), venderli all'incanto e rimborsare con il ricavato i creditori. Ci si siede, invece, attorno ad un tavolo e si inizia, più o meno pazientemente, a negoziare. Non ci vuole una grande scienza per capire che in quel caso il creditore è abbastanza nervoso e preoccupato. Non avrebbe mai voluto arrivare li.

Il debitore (lo Stato) inizia a proporre soluzioni alternative: "non rimborso nulla, arrivederci e grazie" (soprattutto se nella famiglia ci sono risorse sufficienti per fare a meno dei crediti dall'estero); "rimborso solo il 20, il 40, il 60% del mio debito", tanto per fare degli esempi; "rimborso non ora ma fra dieci, venti, trenta o cinquant'anni. Interessi, pochi. Prendere o lasciare".

Il creditore non ci sta. Si organizza, mette su un Comitato, e inizia a contro proporre: "l'80, il 70%, in due o cinque anni, ad un tasso d'interesse molto alto". E chiama in aiuto il Fondo Monetario Internazionale che, comodamente seduto al tavolo, mette a disposizione i suoi preziosi servigi. Se le parti trovano un accordo, e lo stato debitore si impegna a fare il bravo bambino, spremendo i cittadini come rape per tirarne fuori sangue a sufficienza per ripagare capitale e grassi interessi, i soldi li anticipa lui. 

Peccato che la Grande Distribuzione Organizzata ci abbia tolto il piacere di negoziare il prezzo delle cose che acquistiamo nei supermercati. Prezzi fissi, e passa la paura. Abbiamo così perso la "cultura ed il piacere" della negoziazione. Soprattutto, però, abbiamo perso, collettivamente, la capacità di capire cosa è che fa andare a buon fine una negoziazione. Si impara, infatti, solo con molta esperienza.

Tenendosi in esercizio, si rammenterebbe con più facilità l'unica cosa che conta quando si contratta un prezzo (o un accordo di ristrutturazione di un debito): quanti soldi ha in tasca il compratore (debitore) e quanto ha effettivamente bisogno e urgenza di concludere; quanto è più importante per il venditore (o creditore) avere dei soldi in cambio dell'oggetto che vuole vendere (o dei titoli che ha in mano e rischiano di diventare carta straccia).

Noi, paese Italia, a fine 2011 avevamo un potere negoziale enorme, altro che fallimento. Non siamo stati salvati, come ci ricorda perfino il Financial Time

Di risorse ne avevamo a sufficienza per chiamare quei pazzi indemoniati che folleggiavano sui mercati finanziari, e riportarli alla ragione: o vi accontentate di tassi in linea con i nostri buoni fondamentali, o non beccate un quattrino.

Sarebbe stato sufficiente - anziché andare nelle "piazze finanziarie estere" a pietire aiuti -  suggerire agli Italiani di trasformare in titoli italiani i 400 miliardi dei loro risparmi privati investiti in titoli esteri. Per non parlare dei 1600 mld investiti in asset finanziari di varia natura. Asset che comportano tutti un rischio tanto maggiore quanto meno è comprensibile (qui lo accenniamo per inciso ma ci torneremo su). Su questi investimenti, nel frattempo, gli intermediari ci guadagnano delle belle commissioni mentre a vendere BOT e BTP ci guadagnano poco. Senza menzionare la possibilità di richiamare, con la dovuta fermezza, le centinaia di miliardi che furbi compatrioti esportano illegalmente all'estero. 

Avrebbe potuto salvare così il paese, liquidando la speculazione internazionale. Semplicemente usando l'intelligenza e mobilitando le risorse finanziarie dei più facoltosi concittadini, senza neppure toglier loro la ricchezza con le tasse. Offrendo loro l'opportunità di investirla a rendimenti elevati (tali erano in quel periodo). Ho provato a suggerirlo, a suo tempo, ma la lettera spedita a tutti i giornali non è arrivata. Forse quella situazione di crisi era più adatta a far accettare agli Italiani le medicine amare che sono seguite. Chissà! Ed è servita tanto a qualche politico a farlo sentire molto responsabile. Ed è servita agli investitori, esteri, a godersi quei rendimenti elevati, resi sicuri dai sacrifici imposti, subito dopo, ai più deboli fra i concittadini.


Poi, certo, sarebbero restati tanti altri aspetti da sistemare, a casa. I problemi reali hanno molto più a che fare con il debito privato che non con quello pubblico, come ci ricorda correttamente il Professor Bagnai nel suo ultimo libro "Il Tramonto dell'Euro" . Avremmo avuto la possibilità di ragionarci sopra con calma, utilizzando la rinnovata attenzione di tutto il paese, resa vivace dal pericolo appena scampato.

I nostri salvatori hanno rifiutato la responsabilità della gestione dell'economia, scegliendo la crisi. La responsabilità delle conseguenze, e del dolore di tanti, se la portano nella storia e nella tomba.


Non solo. Coerentemente con l'idea ormai scontata di cederla il più possibile, la sovranità e la responsabilità che ne consegue, temo fortemente che stiano deliberatamente operando per rendere quella semplice via un bel po' più complicata. Dovremo approfondire, in seguito, con grande attenzione le modalità con le quali i nuovi interventi annunciati dalla BCE, ed il collegato ricorso al MES ed al FMI, modificano anche sul piano del diritto internazionale le posizioni contrattuali dei vari soggetti in caso di Default.

E' molto alto, in questi mesi, il rischio di una trasformazione della natura giuridica del debito. Fra l'altro, sarebbe molto interessante leggere gli allegati al Decreto del Ministero delle Finanze del 7 dicembre 2012. E' li che viene specificato il contenuto di queste benedette Clausole di Azione Collettiva di cui si legge su internet senza capire bene. Clausole che sono applicate alle nuove emissioni di titoli di stato a partire dal 1 gennaio 2013, così come ci avvisa il Comunicato Stampa del Ministero.

Sarà senz'altro colpa della mia inettitudine e non certo per mancanza di trasparenza.. ma io quel decreto e gli allegati non lo trovo su internet e sarei veramente grato a chi, più esperto di me, riuscisse a darmene traccia.

Per inciso, l'accesso alle fonti, proclamato a gran voce dai nostri politici, tutelato da leggi tanto macchinose quanto inefficaci, è un'arma fondamentale per difendersi dalla manipolazione delle informazioni (e del consenso). Non è accettabile che le leggi siano nascoste e incomprensibili. 

E' alla base del principio di legalità: la legge non ammette ignoranza. Se viene nascosta, o resa poco comprensibile, si obbliga il popolo ad agire illegalmente. Avevo a suo tempo concepito una legge utile a garantire una reale trasparenza degli atti normativi e della pubblica amministrazione. Ce n'è una nota su facebook, la devo rispolverare.

Il soggetto che acquista un normale titolo di stato deve essere perfettamente consapevole del rischio che corre. Queste cose bisognerebbe scriverle a caratteri cubitali all'ingresso delle banche, delle borse, per le strade delle città. 

Si vuole forse scoraggiare il cittadino privato, anziché incoraggiarlo?

Lo sanno di sicuro, invece, gli investitori istituzionali: per dovere professionale, conoscono i rischi che corrono ed hanno un diverso accesso alle informazioni. 

Anche se va detto che li capirebbero senz'altro meglio, quei rischi, se subissero di persona le conseguenze dei loro investimenti sbagliati, invece di essere salvati prontamente ogni volta che commettono errori troppo gravi. Salvati con i nostri soldi, naturalmente. 

Non è istruttivo. E neppure etico. Ma è il liberismo, bellezza.

Ci fermiamo qui, per adesso, archiviando un altro pezzo di informazione importante: è vero che gli investitori istituzionali possono provocare - nelle condizioni attuali - un default dello stato, ma sono anche i più interessati ad evitarlo - per ora - perché devono salvare il capitale investito che andrebbe altrimenti perso

Questa informazione sulla debolezza della controparte esprime ancora più potentemente il potere negoziale che abbiamo sprecato.





5 commenti:

  1. stiamo comcinciando a entrare nel vivo della narrazione, bene. ti seguo con attenzione, continua così.

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  2. Sempre chiaro e lucido nelle tue analisi Guido, complimenti.
    Se mi permetti però, vorrei aggiungere un chiarimento. Nell'attuale sistema monetario mondiale uno stato può fallire solo se decide di limitare la propria sovranità valutaria, ovvero prendere una delle seguenti decisioni POLITICHE:
    - legare il valore della propria moneta ad una moneta estera più forte (caso Argentina); -entrare in un'unione monetaria che imponga un "cambio forte" a dispetto dei fondamentali della propria economia (Eurozona);
    - autoimporsi un "tetto" al debito pubblico (USA).

    Per quanto riguarda il famoso "spread" italia-germania, sono sempre più convinto che non rifletta tanto l'irrazionalità dei mercati (quella casomai c'era PRIMA della crisi euro), quanto piuttosto i rischi della fine dell'unione monetaria, con conseguente rivalutazione del marco / svalutazione della lira.

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    1. grazie Luca ed Emanuele per l'apprezzamento

      @luca è esatta la precisazione che fai: la rinuncia alla sovranità monetaria è una stupidaggine che rende possibile il rischio tecnico del fallimento. Default che, in ogni caso, non discende tanto dall'eccesso di debito pubblico quanto dall'accumularsi del debito estero, che spesso è di origine privata.

      Sono cose bene evidenziate dalla MMT, da Bagnai, da Messora, da tanti altri. Li ho poco da aggiungere anche se ci arriveremo.

      Mi preme sottolineare la responsabilità della politica. La follia dell'aver rinunciato alle leve di governo dell'economia (che è comunque un modo per chiamare la sovranità). L'assurdo di chi - ancora troppi - sperano di essere indirizzati dai mercati finanziari. Che ci possano rendere migliori. Solo perché non li conoscono, non sanno come prendono le decisioni, quanto perversi e dannosi possano essere. E quanto il sistema sopra nazionale sia dipendente dalla ricchezza di carta che su quei mercati si crea, e si trasforma in potere di condizionamento.

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  3. Grazie di questo blog Guido, lo sto seguendo con attenzione e vivissimo interesse. Spero non ti spiaccia: l'ho segnalato a Micromega e a Il fattoquotidiano.
    Lidia

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