ISTRUZIONI PER L'USO

IL TALLONE D'ACHILLE è pensato per scrivere libri, direttamente su questo blog. Qui comincia l'Eredità di Michele, l'ultimo scritto. Il precedente è stato interrotto, si vede che doveva maturare. Qui trovate IL primo LIBRO, col suo indice ed i post che lo compongono.
I "libri" raccolgono commenti, critiche e suggerimenti di chiunque voglia partecipare con spirito costruttivo. Continuano un percorso iniziato con le Note scritte su Facebook , i cui contenuti sono ora maturati ed elaborati in una visione d'insieme, arricchiti da molti anni di esperienze diverse e confronti con persone diverse.

I Post seguono quindi un percorso logico che è bene conoscere, se si vuole ripercorrere il "discorso" complessivo. Naturalmente è possibile leggere singoli argomenti ai quali si è interessati. Argomenti spot - che spesso possono nascere dall'esigenza di commentare una notizia - saranno trattati in pagine dedicate.

Buona partecipazione!


mercoledì 29 marzo 2017

Capitolo III - Ricchezza / Povertà (cosa sono)



link a Capitolo II                     


La barra obliqua :   “ / ” , simbolo anche conosciuto come “slash”, in un'Italia che si adatta a parlare inglese, si usa per separare, per contrapporre. E’ l’immagine più sintetica possibile della filosofia dell’”Aut, Aut”. Della responsabilità della scelta. O da una parte, oppure dall’altra. 

Il mondo non è in bianco e nero, ma ritengo che di fronte a certe categorie contrapposte sia profondamente sbagliato non assumersi quella responsabilità: bisogna scegliere da che parte stare.

Lo userò spesso, questo simbolo.

Entriamo nel merito: sono i soldi a misurare la ricchezza o la povertà? Possiamo davvero ridurre tutto a una questione di vile denaro?  Se avessimo più chiaro il “valore” del denaro (che è nullo, e lo vedremo), cercheremmo sicuramente altre risposte.

Con tutto l’oro del mondo, soli nel deserto, senza acqua e senza cibo, moriremmo di fame e di sete.

I Nativi d’America lo sapevano bene : “quando avrai ucciso l’ultimo pesce e tagliato l’ultimo albero, uomo bianco, ti accorgerai che il tuo denaro non si mangia”. Sarà per questo pensiero - davvero indolente -  insolente, che sono state sterminate decine e decine di milioni di Nativi americani? Cancellata la loro cultura? La loro cultura, comunque, aveva profondamente ragione almeno sul corretto valore da attribuire al denaro. 

Erano veramente "poveri" i Nativi americani?

lasciamo un attimo in sospeso, e veniamo alla nostra storia: siamo passati con disinvoltura dall’uso dell’oro e l’argento, per regolare gli scambi ma anche per accumulare potere, alle banconote di carta, alle promesse, alle carte di credito, ai numeri su computer emessi dalle banche centrali moderne o addirittura da circuiti elettronici privati quale Bitcoin, senza capire bene di cosa si tratti, collettivamente parlando. 

Intanto, sistematicamente, irrimediabilmente, ne rimaniamo attratti e, diciamocelo: un poco corrotti da quella idea accattivante che quel "potere" di acquisto (e non solo) si possa "accumulare" e conservare nel tempo.

Il futuro è nelle cripto monete (se lasciamo fare ai mercati): qui ce ne possiamo fare un’idea, se interessa. Intervento chiarissimo che, fra l’altro, testimonia senza ombra di dubbio che il denaro, qualunque forma di denaro, non ha valore intrinseco.

Comincia a domandarti: se non ha valore, il denaro, perché devo pagare per averlo?

Continuiamo con qualche domanda interessante:


Quanti sanno che la BCE ha il divieto addirittura di prestare soldi agli Stati e agli enti pubblici, scritto nero su bianco nei Trattati che la disciplinano? I loro soldi sono riservati al sistema finanziario, che è sostanzialmente privato e sopra nazionale.


Quanti sanno che le banche centrali non devono avere riserve d’oro per poter emettere nuova moneta? Che non devono richiedere tasse ai cittadini e neppure farsi prestare i soldi dai mercati finanziari, quando immettono  le migliaia di miliardi di liquidità nel sistema? Che possono farlo senza limiti fisici e senza costi? 

Rifletti accuratamente e profondamente su questo pensiero: 

"Che valore può avere qualcosa che può essere prodotto senza limiti e senza costi apprezzabili?"

Corollario:

SE il denaro non ha valore, e non costa alcuna fatica produrlo, perché mai dobbiamo riconoscere questo diritto di produrlo e di distribuirlo a qualche soggetti privato???

Quello che succede lo abbiamo sotto gli occhi : i soldi sono solo per le banche, mMentre a tutti noi che sgobbiamo nell'economia reale per produrre beni e servizi utili, ci viene detto dai politici, tecnici e professionisti vari, che non ci sono più soldi per i poveri; non ci sono i soldi per far sparire la disoccupazione; non ci sono i soldi per gli ospedali; non ci sono i soldi per le scuole; non ci sono i soldi per la giustizia; non ci sono i soldi per i terremotati; non ci sono i soldi per la prevenzione; non ci sono i soldi per i beni culturali; non ci sono i soldi per la ricerca; non ci sono i soldi per gli asili; non ci sono i soldi per riparare le strade; non ci sono i soldi per la benzina delle macchine della polizia. NON CI SONO I SOLDI PER LA SOLIDARIETA’. Qui ci fermiamo.  


Se accettiamo - senza verificarla - questa idea, che effettivamente i soldi non ci sono, ci mettiamo a tacere la coscienza, raccontandoci: "vorrei fare qualcosa… ma non posso! Non ci sono le risorse!"

L’idea - falsa - ci aiuta a credere che le ragioni che vengono addotte (abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità..  la corruzione .. il debito pubblico .. l’evasione fiscale.. ) possano davvero riuscire a nascondere le montagne di soldi che per le banche e la finanza continuano a scorrere: fiumi che non si sono mai fermati.



Ma per quale motivo?

Documentiamo intanto le affermazioni. Questo è, per gli scettici, l’art 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.



lo citiamo per intero, prelevandolo direttamente da fonti ufficiali : 

Articolo 123
(ex articolo 101 del TCE)

1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate "banche centrali nazionali"), a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.

2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell'offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.

Quei soldi, dunque, sono per gli “enti creditizi”, non per noi. Dubbi?  Qui ci torneremo, ampiamente.

E’  sufficientemente evidente e incontestabile che qualcosa che si può produrre e distribuire senza sostenere costi e senza incontrare limiti fisici (parliamo, in sostanza, di numeri su computer) non possa avere alcun “valore” intrinseco, e non possa mai, letteralmente, finire ?


Vi prego, soffermatevi a riflettere, ad assaporare e digerire questa enorme verità, che abbiamo sotto gli occhi ma dimentichiamo di continuo, lasciandoci assalire dai sensi di colpa per i soldi che sono finiti!


Per ora ci basti registrare un primo punto di arrivo : Chi ci dice che “non ci sono i soldi”, mente, sapendo di mentire.

Chiariamoci bene, sul "non valore" della moneta.



Non ha valore intrinseco ma - fino a quando è accettata - rappresenta potere d’acquisto. E’ quindi  un mezzo molto efficace per consentire gli scambi di beni e servizi, ma anche di titoli e derivati. E, dannazione! Lo dicevamo prima: può anche essere “accumulata”. Quindi serve anche per un altro scopo (o, meglio, serve un altro padrone). Ci domanderemo, più in là, quanto siano conciliabili i due diversi possibili utilizzi: permettere gli scambi  / accumulare potere d’acquisto. 

Non addentriamoci ora nel tema, che è complesso ed ha a che fare con la psicologia collettiva, che sembra vittima di una vera e propria allucinazione: tutto sembra girare intorno alla contesa per un oggetto del desiderio ... che QUALCUNO PRUO' PRODURRE SENZA LIMITI E SENZA COSTI ...


Tutta questa premessa sul denaro, fatta qui, ci serve per il momento solo a far notare l'incongruenza fondamentale nell'utilizzo di uno strumento che, essendo esso stesso di dubbio valore, è certamente inadeguato a misurare il "valore" di altre cose, e tanto più per distinguere fra "ricchezza" e "povertà".

Eppure, la povertà “ufficiale”, nel mondo, e simmetricamente la ricchezza,  vengono misurate…  con il vile denaro, che non ha valore!


Se hai un REDDITO di 1 dollaro e 24 centesimi al giorno, sei assolutamente povero nelle statistiche mondiali ed ufficiali. Questo è il criterio universalmente accettato dalle organizzazioni internazionali che si occupano dell'argomento.


Torniamo un momento alla saggezza dei Sioux, che sono sopravvissuti per millenni senza neanche quel dollaro e 24 e forse avrebbero avuto qualcosa da insegnarci sul concetto di ricchezza, se non li avessimo sterminati ed emarginati, fisicamente e culturalmente. In che senso erano più poveri di noi? Lo "diamo per scontato", che erano più poveri di noi, giusto? Perché così ci è stato insegnato. Detto e ripetuto, più che argomentato. Ridetto e ripetuto ancora, nei libri, nei documenti ufficiali, nei libri di testo, nelle scuole, perfino nei film dei cinema e delle televisioni. I selvaggi, oltre ad essere culturalmente sottosviluppati, nel nostro immaginario collettivo, sono sempre e comunque "poveri". Nudi, esposti alla crudeltà della natura. Privi dei nostri potenti mezzi.

Eppure qualcosa l'avevano (come la maggior parte dei popoli "primitivi", sterminati dalle culture più"progredite"): avevano l'accesso alla Terra, all'Acqua, all'Aria ed al Fuoco. Un LIBERO accesso. 

Noi, lo abbiamo perso. Totalmente. Fai mente locale e concentrati: nessuno di noi, nelle evolute, prospere e ricche società, ha un libero accesso agli elementi fondamentali. TE LI DEVI CONQUISTARE, COMPETENDO PER IL POSSESSO DEL DENARO, CHE RAPPRESENTA L'UNICA CHIAVE D'CCESSO AGLI ELEMENTI NECESSARI ALLA VITA.

Chiave, la cui creazione e distribuzione è stata riservata - davvero, non si capisce perché - ad un sistema privato e sopra nazionale, che non risponde né ai politici e né ai popoli (che, con una fantasia davvero ingenua, continuiamo a chiamare ufficialmente "sovrani").

Cosa è che veramente ci rende ricchi o poveri? DAVVERO, UN DOLLARO E VENTICINQUE CENTESIMI, POSSONO RAPPRESENTARE UNA QUALCHE DISCRIMINANTE CHE ABBIA UN QUALUNQUE SENSO? Perché ci lasciamo trarre in inganno da queste manifeste incongruenze? Prova a domandarti, ma molto seriamente, cosa diavolo ci compri, con un dollaro e venticinque centesimi! 

Ma andiamo avanti. Tra questa soglia di 1,25 e l’altra di 2 dollari e mezzo, sei "ufficialmente" qualificato relativamente povero, “a rischio povertà assoluta”. 

Onestamente: dentro di noi riusciamo a "percepire seriamente" una qualche differenza fra uno che guadagna 1 dollaro e ventiquattro al giorno, ed uno che ne guadagna 2?



Bisogna dire che l’Istat, nel suo lavoro sulla povertà, ha usato anche criteri diversi, più "ragionevoli" e vicino alla nostra possibilità di comprensione: La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.”



E mette a disposizione dei curiosi una maschera di calcolo che permette di farsi un’idea “su misura” di come si fa a definire uno  “povero”  a seconda di come è composta la famiglia e di dove abita. Qui, smanettando un po’, si scopre che un adulto che vive in un comune medio grande dell’Italia centrale deve guadagnare 25 euro al giorno per uscire dalla soglia della povertà e riuscire a comprarsi beni e servizi essenziali. 

Siamo però ancora dentro ad un concetto di "reddito": soldi guadagnati "al giorno" (o al mese, non cambia).


E se pensiamo al patrimonio?

Cos’è un patrimonio? Bella domanda. Possono essere soldi (ma non si mangiano e non riparano dal freddo); oppure una casa (che, almeno, ti offre un riparo); oppure un pezzo di terra (che, al bisogno, ti da mangiare e, volendo, gli strumenti per costruirti un riparo). Ecco, cominciamo ad avvicinarci a qualcosa di più tangibile.

Un qualcosa di stabile. Che si può deteriorare ma normalmente si conserva nel tempo: ha un valore duraturo, il patrimonio, contrapposto al reddito che viene consumato ripetutamente. 


Reddito / Patrimonio  - Cominciamo da qui, per capire un po’ meglio cosa ci fa sentire ricchi e cosa poveri.

Io della cosa ho una esperienza diretta, perché per varie vicissitudini ora mi trovo senza un reddito, e sono costretto a "consumare un patrimonio", in attesa che (Fornero permettendo), mi arrivi fra qualche anno la "pensione". 



Una idea diffusissima è che, siccome “consumiamo” per mangiare, bere, etc., abbiamo “naturalmente” bisogno di un “reddito” e cioè di un flusso continuo di “entrate” che compensino quanto abbiamo “consumato” (quanto abbiamo distrutto, quanto abbiamo fatto sparire).  E, ci piaccia o no, misuriamo tutto con il denaro che non fa altro che confermare, anche nei numeri, questa sensazione: stiamo distruggendo qualcosa che va assolutamente reintegrato, sostituito.

Attenzione alle parole, che potrebbero ingannare. 


I “consumi”,  in economia come nel linguaggio corrente, rappresentano quelle cose che compriamo (noi consumatori), le usiamo e, in qualche modo, subito dopo o poco dopo, gettiamo.  Alcune di queste cose ci sembra che spariscano proprio (sicuramente dalla nostra vista e dalle nostre preoccupazioni). Pensiamo alla luce elettrica o al riscaldamento che compriamo e consumiamo.  Compriamo, consumiamo e … che fine fanno? Confermano la nostra convinzione: si consumano, dobbiamo fare qualcosa per rigenerarle. Magari ... lavorare!

Scienza e filosofia a volte divergono. Nel nostro caso ci mandano un messaggio concorde: nulla sparisce. Al massimo, si trasforma: tutto si trasforma, passando da uno stato all’altro, dalla luce al calore o al movimento; dal cibo agli escrementi all’humus alle piante agli animali al cibo; dalla vita alla morte ma dalla morte alla vita. 

Che cosa, in pratica, nelle nostre economie, domestiche, nazionali e globali, realmente si consuma e, quindi, abbiamo l’impressione che sparisca e, quindi, avvertiamo il dovere di riprodurlo,  incessantemente, con il duro lavoro ed il sudore della fronte e, quindi, siamo disposti ad alzarci presto quando dormiremmo ancora volentieri, al calduccio, pronti a buttarci nella rissa del traffico che - immancabilmente - trasforma in bestie feroci i più miti di noi, per raggiungere (in orario, mi raccomando) l’ufficio dove ci attende, possibilmente con uno sguardo severo, un capo tendenzialmente stronzo (se no, che capo sarebbe?) per passare subito dopo a girare carte e carte e ancora carte e leggere mail e a rispondere a mail di clienti che - tutti lo sanno - hanno sempre ragione e … dai si è capito, no? Inutile proseguire. 

Per cosa ? Per soldi.  "Lavoriamo" per guadagnare soldi.

Quelli che non valgono nulla. 

Quelli che (scusate l’insistenza) le banche centrali creano senza costi e senza Lavoro (sono numeri su computer!).

Creano senza limiti fisici e senza limiti normativi - data l’assoluta, indiscutibile, intoccabile indipendenza delle banche centrali dalla Politica.

Qualcuno Crea e Distribuisce. Qualcun altro Lavora.



Il popolo intero, se è fortunato, si guadagna col sudore della fronte non già il pane quotidiano, ma il denaro. 

Se non è fortunato, invece, e non ha un Lavoro (che non si trova facilmente) che gli consente di procurarsi un reddito in denaro,  è oggettivamente privato della propria libertà: dipende da altri, perfino per il proprio pane quotidiano.


Consumiamo un po’ di soldi al giorno per poter comprare le cose da consumare: cibo, acqua, energia, vestiti, le altre cose di cui abbiamo bisogno o che, semplicemente, ci piacciono  e possiamo permetterci.

In che senso consumiamo?

Proviamo un percorso totalmente diverso, liberando un po’ la fantasia. Come lo immaginiamo il Paradiso Terrestre? Il Giardino dell’Eden? L’isola di Utopia? Dai, non storcete il muso, si può fare anche mantenendo i piedi saldamente piantati per terra (è terrestre il Paradiso di cui Vi voglio parlare). E’ un esperimento serio. Molto serio. Ci serve per entrare più approfonditamente dentro al concetto di consumo e, soprattutto, di Lavoro che, secondo il pensiero dominante, sarebbe l’unico strumento necessario a conquistare il diritto di consumare e l’unica chiave di accesso alla Libertà ed alla Dignità personale, indissolubilmente legati all'accesso ai quattro elementi fondamentali della vita (terra aria acqua e fuoco). E comunque, tranquilli: non vi proporrò di tornare all’età della pietra. Anche perché, lo sapete: sono estremamente rispettoso delle libertà altrui. Però Vi avviso: nessuno potrà mai imporvi di entrarci o restarci, nel Paradiso Terrestre. E neppure potrà regalarvelo. E’ una scelta che ognuno, ogni giorno, ha la responsabilità di fare:

dentro  /  fuori.

Mettiamoci dentro, in questa fantasia, un po’ di Natura, rigogliosa e verde. Un buon punto di partenza. 


E’ amorevole e generosa, la natura, oppure è selvaggia, violenta e matrigna? Entrambe le cose, probabilmente. 

Ti gratifica e ti nutre con frutti, erbe spontanee, animali selvatici, e lo farebbe con enorme generosità, se solo smettessimo di violentarla sistematicamente per trarne “profitto”. Leggere “La Rivoluzione del Filo di Paglia” di Masanobu Fukuoka, e il suo ultimo libro (scritto quindi in età matura, ricco della sua profondissima e lunga esperienza): “La Rivoluzione di Dio, dell’Uomo e della Natura” può risultare davvero illuminante.

Può aiutare ogni persona desiderosa di capire meglio, forse, molta parte dell’origine del nostro malessere sociale. Ci accompagna, Fukuoka, attraverso gli esperimenti condivisi e condotti con metodo scientifico in tutti i continenti del globo, a toccare con mano come sia possibile - e quanto sia gratificante - vivere bene, vivere in armonia, applicando “l’agricoltura del non fare”: accompagnando  la sapienza della natura con pochissimi interventi, sempre di meno, senza rivoltare il terreno, ma rispettandolo. 

Bello, è trovare conferma: sarebbe materialmente possibile per tutti e sette i miliardi ed oltre della popolazione mondiale, e tanti altri ancora, nutrirsi - e nutrirsi veramente bene - ma anche vestirsi, e trovare riparo, senza grand sforzo. In questo senso la natura è generosa. Anche oltre la misura necessaria. Questo, a guardare bene,  vuole anche dire che le 800 milioni di persone che, oggi, qui ed ora, patiscono la fame, potrebbero invece passare, qui ed ora, grazie a diverse scelte socio economiche, da quello stato di indigenza attuale … direttamente al Paradiso Terrestre. Penso proprio che se la meritino, un riflessione da parte nostra.

E allora possiamo scegliere: se mettere a tacere la nostra coscienza facendo un po’ di carità e qualche donazione, sperando che l’ONG che abbiamo scelto non sia il solito farlocco che si pappi tutti i nostri soldi e faccia arrivare almeno un po’ di cibo nelle loro mense...

“/” Oppure


Possiamo, prima, sforzarci di capire se e come sia possibile risolvere alla radice il problema; e poi darci da fare per risolverlo. 


Non voglio imporre niente a nessuno, perché non credo che una società che limiti le possibilità di scelta, che si scordi di rispettare il libero arbitrio, possa essere giusta. Sono inoltre profondamente consapevole del fatto che i gusti e gli obiettivi degli esseri umani siano i più disparati e tutti degni del massimo rispetto. Penso, però, che una società armonica, SOLIDALE, debba materialmente dare ad ognuno la possibilità di seguire la propria strada. Quindi, chi vuole accumulare beni materiali, immergersi nel consumo di tecnologia, andare sulla Luna e su Marte, ben venga. La diversità è sempre fonte di ricchezza (reale) per tutti. A patto che venga rispettata, però, ed in egual misura, la libertà di chi desidera accontentarsi … del Paradiso Terrestre. 

Il limite, per tutti gli onesti, per tutti i giusti, per tutti i responsabili, di qualsiasi gusto, razza, eccetera, è semplice (nel senso di chiaro), anche se impegnativo :

la libertà degli individui non può mai pregiudicare la libertà di altri individui e, massimamente, non può e non deve pregiudicare la libertà dei popoli.


Libertà NON è licenza. E’, invece, sempre e solo, RESPONSABILITA' (risposta  - abilità). Se sono abile a dare risposte, capace di costruire soluzioni, rispettando il “prossimo” (fatto dalle persone, dai popoli, ma, a ben vedere, dalla Natura intera  che tutti ci racchiude) solo allora potrò ritenermi veramente “libero”.

Senza Responsabilità, c’è egoismo, non libertà. Dobbiamo ammetterlo!

Chiuso l’inciso, immergiamoci nuovamente nell’idea che siano necessari pochissimi interventi - e forse, neppure quelli - per  ottenere dalla generosità della Natura tutto ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere una vita libera e dignitosa. 



Nulla si crea e nulla si distrugge, sotto il cielo azzurro. Nulla si consuma, tutto si trasforma. Tutto Vive e muore e torna a vivere. 



Non è Lavoro  quello con cui le foglie cadute da un albero vengono trasformate in humus, grazie al ciclo vitale di batteri, muschi, insetti, licheni, funghi, che nel frattempo ne traggono sostentamento. E’ vita, morte, vita. E’ Solidarietà, Collaborazione, Armonia! BADA BENE: OGNUNO DEI SOGGETTI CHE PARTECIPA, APPARE UNA NULLITÀ'. OGNUNO E' PROFONDAMENTE UTILE.  

Non è Lavoro quello dell’albero che - grazie all’acqua ed al sole - si va a prendere con le radici allungate in quell’humus, tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, e vivere bene. Per rafforzare e innalzare il tronco, allungare i rami nel cielo e le radici nella terra, produrre fiori e frutti, far germogliare le foglie.. che l’autunno successivo cadranno nuovamente, a perpetuare il ciclo, ad offrire ad ognuno dei soggetti che partecipano, la loro possibilità di vita. Ciò che per uno è distacco e morte, per altri è alimento e vita. TUTTO ciò di cui ha bisogno, trova l'albero nell'humus. Che, sistematicamente e perpetuamente, viene trasformato e  nuovamente immesso nel ciclo (fiori caduti, frutti, rami secchi, foglie, semi.. fino al suo intero corpo). Solidarietà, Collaborazione, Armonia

C'è posto per tutti. 

Ma noi tutto questo lo sappiamo, ed allo stesso tempo scegliamo di ignorarlo.

E accettiamo l'inaccettabile.

E lasciamo intervenire le industrie dell’agro alimentare che, per produrre più “profitti” che frutti, utilizzano derivati del petrolio - scovato e scavato da altre industrie sotto la crosta terrestre che giace sotto le profondità del mare, in un parte del mondo lontanissima da quel campo e poi trasformati  da altre industrie che probabilmente operano dall’altra parte del mondo, lontana sia dal pozzo di petrolio che dal campo - per “arricchire il terreno”. 



Dove, arricchire, si traduce con: 



Io ti do, albero, poche sostanze chimiche che, sciolte in una quantità d’acqua cento volte maggiore a quella necessaria a mantenere l’umidità nell’Humus naturale, ti faranno crescere  più in fretta di quanto tu non sappia fare da solo.

In cambio, mi prendo qualcosa: elimino tutte le forme di vita (batteri, muschi, insetti, licheni, funghi) presenti nell’HUMUS, nel  SUOLO che, compattato dalle pesanti macchine che utilizzo per renderlo più “ricco”, avvelenato dai diserbanti prima e dai pesticidi poi, necessari a permettere che quella crescita “miracolosa” non venga ostacolata da chi prova a vivere … il suolo, dicevamo, diviene sterile, e muore.

Un minuto di silenzio.


Ci sono statistiche drammatiche sulla QUANTITA' DI SUOLO AGRICOLO CHE DIVIENE STERILE, anno dopo anno, anticamera del deserto. Follia! Rapina ottusa e terribilmente egoista.



Da quel giorno, albero, tu, per sopravvivere, avrai bisogno di me. Dei miei veleni.

Una volta spezzato il cerchio della vita, sarai mio schiavo. Avrai bisogno della mia acqua - tantissima - (per questo me la voglio accaparrare ed ho bisogno assoluto di sottrarla ai beni comuni). E’ necessaria a sciogliere e diluire tutte le altre cose – MIE – di cui tu ora hai bisogno: dei miei concimi, dei miei diserbanti, dei miei pesticidi, dei miei anticrittogamici. Perché tu sarai solo, privato della Solidarietà e della Collaborazione e della infinita misteriosa ricchezza di tutte le differenti forme di vita nascoste nell’humus. Non potrai più cercare nella terra, con le tue radici, ciò che ti dà forza, ciò che dà gusto ai tuoi frutti, profumo e colore ai tuoi fiori, vigore ai tuoi rami. E mentre uccido il suolo, tu sarai condannato a spremere ogni tua risorsa vitale, per darmi, ora e subito, tutti i frutti che, secondo Natura, avresti distribuito sapientemente nel corso degli anni, dei decenni, dei secoli, forse dei millenni. E quando avrò succhiato - in pochi anni - ogni tua forza vitale, ucciderò anche te.  Perché, allora, non sarai più buono neanche come schiavo. La tua progenie ho sterminato. Ho prodotto (ho creato, perché io ho il potere di creare), altri semi, entrando nel segreto della vita e manipolandolo, per avere al mio servizio, dopo di te, servitori migliori. Piccoli, agili, efficienti, pronti a spremersi e morire per me, per i miei profitti, dopo pochi anni.

Ho cacciato i contadini dalle campagne, i nativi e i selvaggi dalle loro terre; chi non ho ridotto in schiavitù, l’ho sterminato, senza pietà. Ho preso possesso delle loro terre, ed ho sancito, in Pubblici Registri, il mio diritto inviolabile, su quelle terre. Oggi, Giudici, e Forze dell’Ordine, ed Eserciti Possenti garantiscono i miei diritti, sanciti dalla Legge.


Quelli che non ho sterminato, ma ho allontanato dalla terra, sono ora incapaci di vivere. Ed è per questo che io, magnanimamente, li metto a Lavorare per me: oggi guidano le mie possenti macchine che diffondono nelle mie terre  i miei possenti veleni; altri, estraggono il petrolio e gli elementi necessari ad “arricchire” il terreno che ho reso sterile; altri ancora lavorano in fabbriche dove trasformano questi elementi in concimi, pesticidi, anticrittogamici; altri in fabbriche che costruiscono macchine, sempre più potenti, ma talmente potenti ed evolute,  che mi metteranno presto in condizione di fare a meno perfino di voi, schiavi lavoratori, per potermi arricchire.

In cambio del vostro Lavoro, non vi darò un pezzo di pane, ma il Denaro. Il dio denaro. Il mio denaro. Quello che le mie banche creano dal nulla, senza lavoro, senza limiti.



Io mi fermo qui, prima di riprendere. Ho bisogno di camminare. Voi fate come volete.

Ci sono molti libri che ricostruiscono chiaramente il senso delle due (molto diverse) rivoluzioni agricole: del '700 e del '900.


Nella prima si è scoperto che la rotazione delle colture con l'utilizzo delle crucifere arricchisce NATURALMENTE il terreno di azoto e lo rende più fertile.

Nella seconda, quella industriale, è l'uomo che interviene pesantemente, violando l'armonia della natura.

Nel processo dell’agricoltura industriale si “consuma” LA VITA, con la sua diversità. Vita, così come siamo abituati a pensarla, a immaginarla: fatta di esseri umani, animali, piante, nelle infinite forme e specie, grandi e piccole e microscopiche, che ci sforziamo di classificare e studiare, suddividere e distinguere ... mentre accettiamo passivamente che vengano sterminate.


Se mangiamo un frutto, un’erba, un’animale, e lo facciamo senza spezzare il ciclo naturale, senza sterminare chiunque si frapponga al nostro egoismo ed alla nostra avidità; rispettando e lasciando fare - il più possibile, con interventi  minimi e decrescenti - la Natura, che è immensamente più sapiente, efficiente, efficace di noi, allora non stiamo consumando nulla: stiamo vivendo, condividendo; siamo parte del ciclo, siamo in armonia con la Natura. Siamo Natura. Siamo Dio. Trasformiamo, non consumiamo, e lo facciamo collaborando in armonia con tutte le infinite altre forme di vita, rispettandole.

Agricoltura Industriale                 /              Agricoltura Naturale

Lavoro, Sfruttamento                 /            Non fare, lasciar fare

Avidità; Egoismo; Stermininio     /    Solidarietà; Collaborazione; Armonia; Vita

Cos’è dunque il Lavoro, così come concepito nella nostra “civiltà? 



Non ricordo l’autore, ma questo pezzo l’ho, a suo tempo, copiato da qualche parte. Non è mio, ma è altamente rappresentativo del pensiero che voglio condividere con voi per poterci riflettere su:



“Labor: voce latina da cui deriva "lavoro". Labor è sia un sostantivo, sia la prima persona del presente, modo indicativo, del verbo labi, che significa "cadere", "scivolare", "lasciarsi andare", ma anche "tramontare", "declinare", "venir meno fino a morire".

Questo tendere allo sfinimento rende il labor una disgrazia, una sventura che fa diventare deboli, tremanti e fa vacillare. Ma trema e vacilla ciò che è destinato a una rapida scomparsa, e che è quindi labile, perché sfiancato dal travaglio (travagliare, dal latino popolare tripaliare, significa torturare e tormentare sul trepalium o tripalium: strumento a tre piedi che nel mondo cristiano sostituì la croce), termine che è passato nel francese travail, nello spagnolo trabajo, nel portoghese trabalho, nel catalano treball, nel galiziano traballo, così come anche in alcuni dialetti italiani, quale ad esempio il siciliano travagghiari, il piemontese travajé e il sardo traballari. Il lavoro quindi destruttura, affatica e travaglia l'uomo rendendolo labile, fuggevole, passeggero, perché sfinisce fino a distruggere, fino a far morire chi resta curvo sotto il peso della fatica. Da questo, lo comprendi bene anche tu, deriva che il lavoro è sempre nocivo. Non esistono lavori buoni, e non può essere considerato lavoro ciò che non produce sfiancamento e sofferenza fisica.”

Se avessimo libero accesso alla terra (che è anche aria acqua e fuoco), saremmo liberi da questa schiavitù.


Ma .. c’è terra per tutti?  Sì. A volersela spartire, per vivere dignitosamente e liberamente sarebbero sufficienti 1000 mq di terra a persona. Messa in  comune, ne basterebbe anche molto meno!

In Italia ci sono oltre 300 mila kmq di cui poco meno della metà è terreno agricolo. Ce n'è quindi il doppio del necessario, considerando il solo terreno attualmente definito agricolo!

E pensiamo un attimino, invece, al milione ed oltre di ettari (ognuno di 10.000 mq) di terreno agricolo attualmente NON UTILIZZATO.

Fatevi un giro per l'Italia, o per il mondo, e provate a cercare con lo sguardo le sterminate distese di terra NON UTILIZZATA dove non c'è un uomo!

E poi osservate le concentrazioni "urbane" che ha prodotto la nostra "civiltà" (da civitas, città!).

E confrontatele






















Non è evidente che quelle persone sarebbero infinitamente più ricche - ma veramente ricche - se avessero semplicemente la possibilità di accedere liberamente a quelle terre inutilizzate?

O, meglio ancora, infinitamente meglio, a quelle terre agricole che per essere coltivate industrialmente e "intensivamente" DEVONO ESSERE SOTTRATTE ALLA DISPONIBILITA' DELLE POPOLAZIONI?  Per finire invece, dopo pochi decenni, in suolo destinato alla desertificazione?



















E’ matrigna la natura? Ci illude e poi ci stermina con terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani? La risposta è troppo complessa per un libretto come questo. Dipende dal proprio rapporto con la vita e la morte. Ci porterebbe assai lontano. Posso solo dire, qui ed ora, che Non è preferibile morire bambini squagliati da una bomba al fosforo, che è necessaria a farci progredire su questa via del "civile" successo; necessarie a "liberare" le terre da destinare ad usi "industriali" da quell'incomodo che sono le popolazioni.

QUESTO CONCETTO DEVE ESSERE CHIARO: l'agricoltura industriale - che a sua volta ha bisogno dell'industria petrolifera, della meccanica e della chimica, quindi possiamo dire: IL SISTEMA INDUSTRIALE, che antepone il profitto privato alle persone - HA BISOGNO, PER SOPRAVVIVERE, di USO ESCLUSIVO DELLA TERRA (deve buttare fuori LE PERSONE, assieme a tutte le altre forme fastidiose di vita, fatta di biodiversità).

(Origine dei fenomeni di emigrazione... ma qui ci perderemmo...)

Chi si illude che questo sistema industriale sia conciliabile con il libero accesso delle persone alla terra ed alle risorse primarie - e quindi con la libertà delle persone - mente a se stesso.

LE CITTA', oggi, non rappresentano una evoluzione della civiltà contadina. SONO IL PRESUPPOSTO NECESSARIO DELLA SOPRAVVIVENZA DEL SISTEMA INDUSTRIALE, COSI' COME LO CONOSCIAMO. O, se volete, il suo sottoprodotto inevitabile. 

Belle (de gustibus) per i ricchi, ricche (?) nei quartieri dei ricchi, orribili per chi è destinato alle degradate periferie urbane.

Nella campagna, o ci metti le monocolture, la chimica e le macchine, oppure le persone.

Aut / Aut 

E, per piacere, non raccontiamoci che tutto questo serve a farci mangiare di più o meglio. Mangiamo veleni. Lo sappiamo. Mentre 800 milioni soffrono la fame ed il trenta per cento del cibo prodotto finisce nelle discariche. 

ONESTA' INTELLETTUALE, PER FAVORE!


Torniamo ora, dopo una passeggiata rigenerante, possibilmente nel verde, a concentrarci sui concetti di ricchezza e povertà che, ora, forse, riusciamo ad inquadrare un pochino meglio.



Possiamo dire che Ricchezza è una abbondante soddisfazione dei bisogni. Povertà è una insufficiente soddisfazione dei bisogni. Il che ci fa intendere che, fra abbondanza e insufficienza, esiste certamente, per definizione, una posizione di equilibrio, di armonia, di giustizia, che solo il nostro egoismo può oscurarci.

Definiamo quindi i bisogni, altrimenti non capiamo. Anzi, proviamo a mettere in ordine di importanza i bisogni degli esseri umani, pur considerando che gusti ed orientamenti sono sicuramente - ed è bene che lo siano - assai diversi fra loro, molteplici e variegati. Cercando qualcosa di magari minimo, che però risulti facilmente condivisibile, potremmo forse concordare che al primo posto, in assoluto, ci troviamo qualcosa del genere :


tutto ciò che è necessario a vivere bene, con libertà e dignità.

Allora, Vi devo una confessione: avevo iniziato a scrivere un’altra cosa. Stavo iniziando a proporvi quella classificazione classica che ci viene suggerita da interi eserciti di tecnici, esperti di materie socio economiche, che sicuramente molti di voi già conoscono:


- Prima, vengono i bisogni materiali, quelli necessari a sopravvivere

- Poi, tutti gli altri 


Dando ad intendere che i bisogni spirituali, per favore, stiano fuori dalla scienza economica, che non ha tempo da perdere con questi ignoranti. 



Ora, si da il caso che LIBERTA’ E DIGNITA’ siano bisogni spirituali, non materiali.

Ecco … io non voglio sopravvivere, senza libertà e dignità. Non mi sentirei pienamente essere umano. Io magari sono un po’ pazzo e sarei, forse, disposto a rischiare seriamente di perdere la vita, piuttosto che sopravvivere, proprio perché la reputo talmente sacra la vita che non mi sento in diritto di sprecarla, limitandomi a sopravvivere. Ma di certo non lo chiederei né suggerirei a nessuno. Il libero arbitrio, la responsabilità, sono cose serie. Molto serie.



(Apro una piccola parentesi. Ho scritto questa frase qui sopra prima di incontrare Michele. Il libro, allora, aveva un altro titolo nella mia mente. La sua forza, la sua Dignità, il suo amore irriducibile per la Libertà, il suo profondo senso di responsabilità nella scelta di esercitare il libero arbitrio nella maniera più consona alla propria coscienza, mi hanno folgorato. Ci dobbiamo tutti confrontare, con la Dignità e la sensibilità di Michele. Chiusa parentesi.)



Facciamo ATTENZIONE alle classificazioni: perché se accettiamo acriticamente la classificazione che mette la sopravvivenza PRIMA del diritto alla dignità ed alla libertà, allora correremo il rischio di accettare, magari inconsapevolmente, qualcosa di orribilmente sbagliato. 

Perché qualcuno (troppi, per i miei gusti), dopo aver “concesso” la sopravvivenza a chi gli sta intorno, ritiene poi “giusto”, nella logica delle cose, magari inevitabile, che qualcuno si limiti a sopravvivere, senza libertà e dignità, mentre lui si gode immense quanto inutili e illusorie ricchezze che possono essere accumulate solo ed esclusivamente privando di dignità e libertà masse sterminate


Sono gli stessi sapienti che pretendono di escludere, magari con sdegno, i bisogni spirituali dal concetto di umanità e, quindi, dalla loro scienza economica.

Dalla Ricchezza, mano a mano che procediamo sul nostro cammino di esseri umani liberi e dignitosi che vogliono capire e diventare più consapevoli, suggerisco di togliere sempre di più il denaro, e di mettere sempre di più i nostri bisogni non materiali, senza correre il rischio di svanire nell’etereo. Qui ed ora. Impareremo ad usare molto meglio anche il denaro, se proprio non ci sentiamo all’altezza dell’idea di farne a meno.

Per sconfiggere la Povertà, nel mondo e a casa nostra, non serve il denaro, serve la nostra generosità, la nostra disponibilità a rinunciare a qualcosa di concreto, di materiale, la nostra disponibilità a condividere, contrapposta alla nostra aspirazione ad accumulare.

UN DOLLARO E VENTICINQUE CENTESIMI AL GIORNO, OPPURE IL LIBERO ACCESSO ALLA TERRA (acqua, aria, fuoco?)
Per sconfiggere la Povertà, per diventare veramente Ricchi, dobbiamo capire, e praticare, la SOLIDARIETÀ’, la GIUSTIZIA SOCIALE, BASATA SULLA VERITA' E NON SULLA MENZOGNA.


Se ci concentriamo su aspetti materiali, come il denaro e le cose che possiamo comprare e accumulare, inevitabilmente la mia Ricchezza è la Povertà di molti :



Ricchezza   /   Povertà



Chissà che, riducendo gli aspetti brutalmente materiali, non riusciremo un giorno ad eliminare tutti quegli antipatici segni di contrapposizione. Forse, ricchezza interiore e povertà di spirito potrebbero essere due facce di una stessa medaglia.


Torniamo sul concetto di abbondanza. l'idea di "ricchezza" (materiale) implica l'abbondanza, l'esuberanza: è materialmente ricco solo chi ha molto più del necessario. Molto più del necessario. Chi ha SOLO il necessario (quanto basta a garantire ad un saggio essere umano una esistenza libera e dignitosa) non può essere definito né si può auto definire "ricco". Materialmente parlando (spiritualmente si, ma questo è un altro discorso).

Essere "materialmente ricco" vuol dire essere proprietario di MOLTI beni materiali. Più del necessario!

Quanti? E' un concetto relativo (basato sul confronto): più degli altri. Non basta che siano tanti, Devono essere PIU' DEGLI ALTRI.

Un "ricco" con uno yatch da 20 metri non si sente affatto ricco quando approda in un porto pieno di yatch da 50 metri. Anzi, si sente mortificato, umiliato. 

Tutti i messaggi che ci arrivano dalla società in cui viviamo convergono in una unica direzione: è bene essere ricchi; la ricchezza è indice di successo; il successo lo hai se competi adeguatamente: se superi gli altri. Se non sei sufficientemente ricco, sei anche un po' colpevole. Più sei materialmente ricco, e più ti accorgi che la tua ricchezza la puoi misurare solo in senso relativo: posso (e devo) ostentare la terra più estesa, la villa più lussuosa, il brillante più grande, lo yatch più lungo.

Ma la mia proprietà "privata"... finisce per "PRIVARE", inevitabilmente, la collettività intera della disponibilità dei beni di cui io mi sono impossessato. In realtà, a risultare oggettivamente "privata" (nel senso di espropriata, di esclusa) dal beneficio del bene materiale, è la collettività intera, per il beneficio di uno.

Corollario matematico: quanto maggiore è la mia proprietà privata, tanto maggiore risulta la povertà della società intera.

Meditate, gente, meditate.

Se è vero che in fisica nulla si crea e nulla si distrugge, immaginare la crescita economica come una "creazione" di ricchezza è scientificamente sbagliato. E' falso. L'illusione nasce dall'uso del denaro come "muro di misura". Su questo concetto di crescita economica ci torneremo nei prossimi capitoli.

Mi approprio di un frutto perché ho arato la terra e l'ho concimata... me lo merito, dunque.

Ma la terra l'ho sottratta ad altri e questo lo dimentico, molto ipocritamente.

La Terra. La proprietà privata della Terra (proprietà che ha bisogno materiale di ESCLUDERE TUTTI GLI ALTRI: eccola, allora, la vera origine della povertà e della schiavitù.

C'è chi "giustifica" la proprietà privata della terra con il diritto divino o il lignaggio, chi con le gloriose conquiste della storia, chi con la scienza di Darwin. Tutti coloro che, in un modo o nell'altro, si sono impossessati e continuano ad impossessarsi della terra, sottraendola alla comunità, si giustificano auto proclamandosi: "migliori". Il che implica un giudizio dispregiativo per le vittime del loro esproprio: l'hanno persa, perché sono "peggiori". Quindi se lo meritano.

Lo sterminio dei popoli ritenuti "selvaggi" (quindi sub-umani, come da bolla papale del 'trecento) perpetrato dagli eserciti della nostra "civiltà" che aveva bisogno di impossessarsi delle loro terre (considerate res nullius, di nessuno, in quanto i selvaggi sub umani sono "nulla, giuridicamente parlando), ne è una dimostrazione efficace, quanto impietosa. Il tutto, rigorosamente in nome del "progresso" dell'umanità.

Andando avanti, nella produzione di beni materiali, continuando imperterriti sul cammino della "crescita economica" e del progresso, si arriva ben presto a sbattere contro una realtà che oggi è abbastanza evidente: per permettere a qualcuno di "sentirsi" ricco, dobbiamo accettare che moltitudini sempre più estese debbano rinunciare perfino a quel poco che consente una esistenza Libera e Dignitosa (quando non alla vita stessa).

Per essere “materialmente” ricchi, si deve essere profondamente egoisti, insensibili o, almeno, ipocriti (per riuscire a non vedere la "privazione" causata al nostro prossimo dal nostro ingiustificabile accaparramento).

Hegel, nel 1820, ci aveva avvertito: il capitalismo ha successo perché risponde egregiamente ad un bisogno "malato" (si parla di alienazione) ma potente degli esseri umani, che si illudono di essere riconosciuti ed apprezzati dai propri simili grazie alle cose che comprano, accumulano, ostentano!

Solo il giorno in cui l'umanità riuscirà a capire pienamente quanto "malato" ed illusorio sia questo comportamento, ce ne potremo libereremo definitivamente, ed iniziare a camminare verso la vera felicità, nella quale tutti noi siamo riconosciuti ed apprezzati per quello che siamo: scintille multiformi della stessa divinità in eterno e meraviglioso divenire. Afflitte dalla competizione che modifica la nostra principale aspirazione: essere riconosciuti membri di una collettività che ci accoglie!


L'alternativa pratica?


Domandiamoci:  quali sono i "beni" che consentono ad un essere umano una esistenza libera e dignitosa?

Oggettivamente parlando, un essere umano può vivere in maniera libera e dignitosa se può disporre di aria acqua ed energia pulita, cibo sano, vestiti confortevoli, un riparo sicuro e comodo. Ma non è sufficiente. Deve poter disporre del suo tempo, altrimenti non è libero. E questo è un concetto immateriale. Ancora: può goderseli veramente quei beni se è solo? No, la condivisione fa parte della felicità. E’ uno dei bisogni primari fra i più importanti, perché la condivisione permette la pace sociale e quindi la sicurezza (che oggi ci mancano). E anche questi sono concetti immateriali. 

Insomma: i "beni materiali" non bastano a garantire la piena soddisfazione di un essere umano che vuole sentirsi veramente realizzato. Inoltre è chiaro che per essere veramente Liberi e vivere con Dignità, non dobbiamo dipendere totalmente da altri per poterci procurare le cose necessarie; ma non dobbiamo essere neppure impediti da altri, nel nostro sforzo per procurarcele.

La DISPONIBILITÀ  CONDIVISA della Terra, non la proprietà della terra, sarebbe sufficiente a metterci in condizioni di procurarci - tutti - una esistenza Libera, Dignitosa, Responsabile, Armonica, Felice.

Rifletti e assapora la differenza: 


disponibilità condivisa (armonia)     /      proprietà privata (conflitto)



Link a Capitolo IV 

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